I fratelli Lumière arrivarono alla loro invenzione basandosi su studi scientifici ed avanzamenti tecnologici di loro predecessori, meno famosi, ma ugualmente grandiosi per le loro intuizioni.
Si dovette prima capire che l’occhio umano percepisce come movimento unico una serie di immagini fisse, leggermente diverse tra loro, se proiettate ad una velocità di almeno 16 fotogrammi al secondo. Ne seguì la comprensione del fenomeno della persistenza dell’immagine sulla retina, nel 1833 l’invenzione dello zootropio e poi i pionieri della fotografia Joseph Nicéphore Niépce e George Eastman.
E allora?
Dico questo perché tutte quelle persone erano ricercatori, studiosi, imprenditori (come i Lumière), esponenti del mondo scientifico che si misero a progettare strumenti di misurazione e macchine di riproduzione.
C’era nelle loro teste la ricerca e l’idea cinematografica, quella che poi diventò – quando intervennero esponenti del mondo delle arti e dello spettacolo – l’arte cinematografica.
Il pubblico, abituato a forme così diverse di spettacolo, si sarà presto diviso fra scettici e appassionati, fra increduli e fanatici della nuova tecnologia… tutti a bocca aperta a guardare la bella invenzione. Tranne i bambini, che erano “nativi cinematografici”. Scombussolamento culturale e nuove occasioni di svago, di modi di raccontare, spiegare, divulgare.
Oggi ci sono ingegneri informatici, incredibili programmatori e sublimi nerd, che lavorano alla creazione e all’innovazione di tecnologie dedicate al digitale dedicato ai bambini.
E il nostro tempo cosa se ne fa di queste nuove invenzioni?
Le dovrebbe allagare con contenuti di qualità, a volte ci riesce.
Infatti, in parte, le usa con originalità espositiva, portando noi e i più giovani, nella cultura, nella storia, divulgando l’arte e appoggiando la didattica. Ma, così come può avvenire per il libro di carta quando forma e sostanza si fondono (in libri pop-up o in finezze di cartotecnica), la forma ( il contenitore) influenza la narrazione e si fa essa stessa modo della narrazione.
Questo avviene anche in ambito digitale, quando si passa dall’utilizzo di un formato EPUB semplice al formato EPUB3.
(Per un approfondimento più tecnico, un link a questo mio) http://www.mamamo.it/news/le-app-gli-ebook-e-gli-ebook-epub3
Con tale formato avanzato si può inserire negli ebook l’interattività, la musica, i suoni, la traccia audio di lettura, documentari e video. Il libro EPUB3 arriva a livelli di integrazione di contenuti paragonabili alle più ricche app.
Immaginate la forza e il potenziale che un tale strumento ha per la didattica, l’istruzione, il sostegno al superamento di disturbi specifici dell’apprendimento.
Oggi troviamo pubblicazioni per bambini per le quali il digitale rappresenta realmente una svolta narrativa e compositiva.
Sophie van der Linden – una delle voci più autorevoli di Francia nell’analisi degli albi illustrati – qui la recensione di Hamelin del suo saggio Album[s] – dice “ le pli comme étant la «caractéristique première du livre qui le distingue des autres supports.» Cette page se trouve amputée de son pli sur l’écran de la tablette ou de l’ordinateur. Il n’est donc pas question ici de reproduire un livre “homothétique”, arte-fact du livre imprimé tel qu’il pourrait être – et sera éventuellement.”
Ecco ci troviamo di fronte, in prima istanza, al senso vero del significato di ebook, di libro senza la piega; in seconda istanza di ebook EPUB3 quando di quel libro si prevede e si auspica una declinazione differente, adattabile e adatta al diverso supporto.
Lo si può ancora chiamare libro?
Credo di sì, finché in esso non viene tradito il raccontare con le immagini e con le parole. Il fatto che semanticamente manchi ad oggi una parola per definire il libro elettronico, se non facendo ricorso alla parola “libro”, (e-book) anche in quella che è anche la sua espressione arricchita, non è forse segno del fatto che di quel contenuto non ci si sente ancora in possesso? Che non ci è familiare? Ma conta che si tratta di storie e non di altro.
Nella trasposizione c’è valore aggiunto? E anche là dove qualcosa si guadagna o si perde, è utile, è bella?
Propongo qui alcuni esempi per differenziare il contributo interattivo in una sorta di, mi sembra, ragionata escalation:
1. Un libro di narrativa, semplice, senza interattività, con un soggetto esilarante ed illustrazioni divertenti e curate, in formato pdf, risulta apprezzabile a maggior ragione essendo inesistente la versione cartacea. Potremmo sottoporlo all’attenzione di un bambino? Sì, sarebbe un peccato perderlo. E’ il caso del ebook 008 e la Nuvola di Picasso di Sabrina Ferrero e Giorgio Gagliardoni.
2. Quando, invece, al cartaceo La bambina e la gallina di Luisa Mattia e Javier Zabala, pubblicato da Rizzoli (prezzo di copertina 18 euro), viene affiancata una versione digitale totalmente statica, priva di qualsiasi corredo – più o meno vasto – di alternative narrative aggiuntive che potrebbero fare di esso un libro “nuovo”, allora mi pare che preferire il digitale perda totalmente di senso. Qui il cartaceo sovrasta in bellezza il digitale, immensamente più godibile, per dimensioni, resa ed anche in rapporto al prezzo (l’ebook costa 9,99 euro).
3. L’albo Fantavolieri, scritto e illustrato da Gioia Marchegiani per Gribaudo, è pittorico, scenografico, e la materialità delle tavole non perde fascino con la trasposizione sebbene soffra di una certa lentezza nel caricamento; si gode di una dolce musica di accompagnamento e della lettura calda e convincente del testo.
La sorellina di Linda, la protagonista, inquadrata nel binocolo, dondola (e dondola per davvero) sull’altalena…ne restiamo incantati. Suoni e rumori mantengono integra la suggestione della storia con il volo degli uccelli sulla tavola.
Così è anche per La grande fabbrica delle parole o Il pentolino di Antonino.
(se interessa, trovate le recensioni nel blog)
4. Moi, j’attends… di Davide Calì e Serge Bloch, Éditions Sarbacane, è nella versione cartacea in splendido formato 270×105 mm. E’ la storia struggente di tanti fra noi, dalla nascita alla morte, attraverso l’amore, la guerra, le attese, gli altissimi e i bassissimi di tutta una vita. Commozione assicurata.
La trasposizione è di sconfinata efficacia, un gioiello, per la musica che accompagna il susseguirsi degli eventi, per la voce calda dell’attore francese André Dussollier, e per l’aspetto – niente affatto scontato – che è alla complicità tra noi e il filo rosso che l’interattività (che vuol dire lo sviluppo della storia) è affidata.
In questa tavola, se noi non passiamo al bambino – tramite trascinamento (swipe) – l’estremità del cordino, la storia non prosegue. E attenzione non è un “touch” l’impulso che ci viene chiesto di conferire. E’ un swipe direttamente nelle mani del bambino come a voler dire “Ti affido la storia, falla iniziare; ti affido l’amore (metafora del cordino) fallo vivere.”
O in quest’altra tavola, in cui è il cordino stesso a spingere il protagonista, dandogli coraggio. Passaggi perfetti, fa piangere sulla carta come sullo schermo.
5. E il pluripremiato Libro bianco di minibombo? Il protagonista cartaceo armato di rullo inizia a colorare le tavole, ne emergono animali vari, lasciandolo di volta in volta sorridente, perplesso, schiacciato dalla mole dell’elefante…
I minibombo avrebbero potuto farne una versione digitale interattiva sì ma fedele, conforme, e anche così sarebbe stata bella. Ma hanno fatto di più, sono dei maghi: hanno messo a disposizione del bambino utente il barattolo (in sostituzione del piccolo personaggio del cartaceo) rendendolo così protagonista dell’interattività; un’interattività che si sviluppa poi colorando con il dito e che sorprende alla comparsa di ogni animale. Pipistrello appeso, coccinella furtiva, leone e…poi tutti in fuga. Per la felicità dei bimbi piccoli.
Infine, anche se andrei avanti ore…
6. Una delizia di grafica e colori, El viaje de Alvin, degli spagnoli Meikme, una road-app, un albo illustrato interattivo senza cartaceo corrispondente; la storia vera di un contadino dell’Iowa che per andare a trovare il fratello lontano, non avendo più la patente, salta sul suo tosaerba e lo raggiunge in 8 comode settimane! In movimento continuo da sinistra a destra, una storia sul senso del tempo, del viaggiare senza fretta e sul piacere del viaggiare che è sì arrivare ma soprattutto vivere.
Con storie come Spot, Labirinti concentrici di David Wiesner o Not Here, si è arrivati a livelli stratosferici (…di esaltazione personale, naturalmente!)
Storie imperdibili.
Per non dire poi della produzione editoriale per bambini ideata da Artstories che immerge il piccolo utente nella città reale, con un device tra le mani ma lo sguardo sui monumenti, dei lavori di Tate e Applix e dei libri interattivi pubblicati con la sopraffina tecnologia PubCoder...c‘è un mondo intorno a noi di storie interattive sane e belle.