Quando sono entrata nell’AppStore per scaricare Love, the App, sapevo:
– che ha vinto il Bologna Ragazzi DigitalAward 2014 nella sezione Fiction,
– che è stata commentata con queste parole dai membri della giuria: “E’ stato facile amare questa app, immaginazione digitale e inventiva straordinarie applicate a un libro che celebra le texture e gli artifici della carta e la forza della semplicità vulnerabile e della poesia visiva”,
– che buona parte del settore si è complimentato per la semplicità dell’app.
Ho aperto la storia con aspettativa e curiosità.
Ebbene, a me pare che di semplice, in questa app, non ci sia nulla.
E’ la storia di una bambina di nove anni, abbandonata dai genitori e che, non avendo altri parenti, viene presa in un orfanotrofio; la bambina non è bella, i tratti semplici con i quali sono descritti gli oggetti, gli ambienti e gli altri soggetti sono disarmanti. Unici compagni della vita, i suoi pensieri e le calde giornate di sole. La bambina non è amata, da nessuno. Non si comporta bene e il direttore dell’orfanotrofio vorrebbe trovare una scusa per mandarla via. Un giorno viene trovata, in un buco in un albero, una lettera, prontamente portata al direttore, ottima scusa per cacciare la bambina, dal momento che ai piccoli orfani è stato fatto divieto di comunicare con l’esterno. E poi…
Le tavole scorrono cupe, colori forti ma spenti, tonalità pastose volutamente cartacee, poca interattività, molta animazione autonoma. Potrebbero sembrare difetti. Una certa lentezza, che a tratti si fa pesantezza, domina la versione digitale nel susseguirsi delle tavole; sembra di essere di fronte ad uno struggimento generale di cui ci si chiede la ragione. Tutto si muove su un tempo di tristezza profondissima.
Cosa giustifica che sia così tanto sofisticata? Così tanto ricercata? L’ho capito all’ultima pagina. Solo lì, nella svolta finale, ho trovato la spiegazione di una scelta ipersofisticata, nella conclusione della storia, nella chiusura sbalorditiva, nel colpo di scena. La grandissima forza di questo libro digitale è la storia, non le interazioni, non i colori, non le potenzialità dei dispositivi piegate all’esigenze del racconto. Io credo, e questo è un giudizio molto personale, che solo una storia solida possa spiegare passaggi che potrebbero sembrare pretestuosi.
Merito va alla società argentina Niño Studio di Pablo Curti, che ha saputo sviluppare e animare questa storia senza snaturarne lo spirito incantevole e merito immenso al creatore e illustratore di Love, l’artista Gian Berto Vanni, che la mise su carta e la vide pubblicata in Francia per la prima volta nel 1964. Già allora egli aveva progettato e creato un libro in movimento.
Con i fori-spioncini e la stratificazione delle pagine colorate diede al lettore la possibilità di stabilire il ritmo della fruizione cartacea, girando le pagine più o meno velocemente, che è come metterlo di fronte ad un’animazione (cit.).
Gian Berto Vanni aveva già creato un libro interattivo, cinquant’anni fa.
Una storia sull’amore migliore di cui l’uomo è capace, quello verso gli altri, chiunque essi siano. La musica è un capolavoro.